Armodia Etnica

Un sintagma che all’attributo “Etnica” unisce una crasi tra le parole “Armonia” e “Melodia”

Disco

Sono sette tracce quasi esclusivamente strumentali, frutto maturo di un percorso che Paolo Palopoli (chitarra e autore dei brani) e Sergio Forlani (pianoforte e autore dei brani) hanno intrapreso con consapevolezza e passione diversi anni fa, prima rivolgendo la loro attenzione solo al panorama jazzistico più ortodosso di matrice americana anni ’80, poi mescolando anche influssi ed echi jazz, latin e fusion. Da qui, dopo poco ha preso il via una ricerca attenta e proficua verso tutte le possibili contaminazioni musicali tra la tradizione jazz e le suggestioni di musica etnica. Il risultato è un ventaglio ampio e vario di sonorità che spaziano dall’irrinunciabile base jazzistica ad atmosfere in grado di fondere il linguaggio afro-americano con il tango, la musica araba, indiana, latin, afro e popolare nell’accezione più alta del termine.  Disco che a partire dal titolo è una dichiarazione di intenti: un sintagma che all’attributo “Etnica” (simbolo evidente della volontà di recupero e riscoperta delle differenti tradizioni musicali popolari del bacino del Mediterraneo, dell’Est Europa e del Sud America) unisce una crasi tra le parole ‘Armonia’ e ‘Melodia’. Questo il desiderio dei due musicisti partenopei, questo l’esito che si sostanzia in sette brani caratterizzati da un’innegabile piacevolezza d’ascolto, nonché da una coerenza interna di un racconto sonoro unico che, pur tra ritmiche diverse – che contribuiscono a non creare momenti di stanca – e tra influenze mutuate da svariate tradizioni musicali, mantiene un’omogeneità artistica di fondo.

In tal modo si susseguono, l’uno dopo l’altro, come piccoli boccioli di un florilegio, i sette tasselli di questo mosaico. “Il Giardino di Giosi”, che dall’incipit delicato al pari di quello di una fiaba (pianoforte) si espande subito a un più largo respiro grazie all’intervento della sezione ritmica, chitarra, fiati e soprattutto della fisarmonica, capace di creare atmosfere gitane. E non è un unicum nell’album: spesso da inizi dal forte potere evocativo e dalle suggestioni per così dire remote ed ‘esotiche’ (felice miscellanea di melodie e ritmi diversi) si passa gradualmente a sonorità più ampie, vere e proprie aperture solari, in cui ruolo principale riveste l’ottimo interplay tra i vari elementi della formazione. Nuance più lontane e svaporate sono alternate a cadenze più vibranti e sostenute, come in “Jamal”, in cui sitar, flauti, sax e percussioni mescolano sonorità cinesi e tibetane con quelle di netta ascendenza orientale e arabeggiante, sino a condurre l’ascoltatore sulla soglia del ritmo delle danze tribali africane. E ancora. Un intro etnico seguito dal ritmo battente di chitarra acustica è l’inizio della track d’apertura, “Vento da Sud”, in cui il bridge e il finale sembrano riecheggiare tammorre e suoni dei vicoli napoletani. “Alma Portena”, dal ritmo incalzante specie grazie al sax e nella coda del brano, è tutta d’ispirazione argentina. “Il Mercante di Sogni”, che scorre lungo un solco più classicamente jazz, si snoda da un assolo di piano sino al dialogo tra chitarra, tromba e sax tenore, con l’epilogo in solitario della chitarra semiacustica. Per non tacere dei virtuosismi di flicorno, chitarra, armonica e sax soprano in “Hors d’oeuvre”, fino alle cadenze e ai suoni tipicamente afro di “Masai” – che chiude l’album – in cui basso, voci e percussioni, seguiti dagli assoli di tromba e sax, non lasciano dubbi sul tenore del brano.

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